Ranchella, un tesoro di Vite
La storia incredibile ma vera della scoperta di una varietà resistente.
Si tratta di una varietà a bacca rossa dalle origini trentine che ha trovato casa nei suoli vulcanici laziali di Grottaferrata. Una scoperta di grande interesse per il futuro dei vini rossi da uve resistenti e non solo.
È strano che la registrazione di questa varietà sia passata inosservata a tutte le testate giornalistiche che si occupano di viticoltura. Se ne ha traccia nella Gazzetta Ufficiale e in qualche comunicato che menziona le numerose cultivar registrate a febbraio 2021 e niente più. Anche a me era sfuggita, sebbene altri due vitigni resistenti fossero stati registrati nella stessa occasione, il Palma e il Sevar, di cui scrissi ai primi di marzo. Se non fosse stato per la segnalazione del Prof. Marco Stefanini della Fondazione Edmund Mach ne avrei continuato ad ignorare l’esistenza.
Una volta scoperta sono riuscito a mettermi in contatto con Francesco e Marco, protagonisti della incredibile scoperta. È lo è davvero in quanto la varietà è figlia di una evoluzione naturale, di incroci avvenuti chissà come e quando.
Le altre varietà resistenti iscritte in Italia arrivano tutte da enti di Ricerca o Breeder professionisti.
Parlando con Francesco Ranchella ho potuto sentire nelle sue parole l’entusiasmo per la scoperta fatta nel 2005, che a distanza di 16 anni è più viva che mai e si sta trasformando in un progetto vitivinicolo innovativo. All’epoca Francesco e Marco avevano 17 e 16 anni.
Nel frattempo la mia curiosità su ogni dettaglio della vicenda era cresciuto a dismisura e così ho chiesto a Francesco Ranchella di raccontarmi tutta la storia, eccola:
Il terreno boschivo in cui io e mio fratello trovammo questa vite, si trova in Trentino, più precisamente a Castel Condino a 800 m s.l.m., dove i miei zii posseggono una casa, una volta destinata (nella prima guerra mondiale) ad avamposto austriaco. Sulle pendici del terreno si estendono numerosi boschi di abeti rossi e bianchi dell’età di circa 70-80 anni. Camminando per quei boschi durante una vacanza estiva (metà Agosto del 2005), l’occhio ci cadde su un rampicante, che dalla base del tronco di un abete saliva per circa 10 metri fino alla sommità e da dove si intravedevano dei bei grappoli di uva rossa. Curiosi ed entusiasmati dalla scoperta, ci arrampicammo con difficoltà sull’abete per cogliere quell’uva e una porzione di tralcio legnoso che avremmo poi tentato di moltiplicare. La vite produceva un’uva tintoria, dalla polpa molto colorata e dal sapore molto zuccherino. La vite era in ottima salute seppur non curata da nessuno, non potata e parzialmente ombreggiata dagli alberi intorno. Guardando il terreno su cui giacevano gli abeti e la vite, ci accorgemmo subito che anticamente doveva esserci stata una coltivazione e un terrazzamento del terreno altrimenti molto scosceso, a causa degli evidenti muri creati con macere a secco di sassi del luogo. I terrazzi visibili erano almeno 7 a scendere verso valle, della larghezza di circa 5 metri ognuno, alcuni distrutti dal crescere degli abeti.
Con un lavoro molto meticoloso conservammo la preziosa talea prelevata sull’albero e la portammo a Grottaferrata (Roma), dove abitiamo e dove iniziammo le sperimentazioni. Essendo Agosto, la piccola talea faticò molto ad attecchire, ma dopo diversi stimoli con radicante (acido salicilico) e apparente fallimento, finalmente in primavera apparse la prima gemma e quindi le radici!.
La vite crebbe con molta vigoria, prima in vaso e poi in piena terra, restituendo in autunno delle magiche foglie rosso scarlatto. Ci domandammo quindi quale portainnesto fosse più indicato, così l’anno dopo tornati in quei posti, cercammo di capire se la pianta madre fosse innestata oppure no. La delusione e la tristezza più grande, fu vedere che purtroppo il taglio della macchia aveva cancellato per sempre da quegli antichi terrazzi la nostra amata vite. Il terreno si presentava disconnesso e frastagliato, gran parte degli alberi erano stati tagliati, fra cui quello su cui si arrampicava la nostra vite della quale non vi era più traccia. Era stata tagliata alla base e ricoperta di rami, segatura e tronchi, si seccò e negli anni a venire non rinacque.
Non sapendo se fosse stata piantata a franco o con portainnesto, provammo diversi portainnesti fra cui il 1103 Paulsen, ma provammo anche a coltivarla a franco, come dalle nostre parti si faceva anticamente. I risultati migliori li ottenemmo proprio con quest’ultima soluzione, a piede franco. La vite non si ammala e resiste spontaneamente, senza nessun trattamento fitosanitario, alle malattie più comuni quali Oiodio e Peronospera, probabilmente a causa dell’alto contenuto di antociani nelle foglie e a difese immunitarie proprie sviluppate in anni di abbandono. D’altronde la selezione naturale aveva selezionato questa unica vite per la sopravvivenza. Le foglie non vengono attaccate dalla fillossera gallecola e i grappoli resistono sulla pianta appassendosi senza marcire.
Nel corso degli anni la vite continuò a crescere con molta vigoria e dopo una sperimentazione durata oltre 10 anni, con ripropagazione in un piccolo vigneto, e tentativi di identificazione, finalmente il primo Vino.
Il vino ha un ottima corposità ed equilibrio organolettico, bouquet complesso e fruttato, con retrogusto di ciliegia e frutti rossi dolci, persistente al palato e buona presenza di tannini. La gradazione alcolica è molto alta, si aggira intorno ai 15 gradi. Con la raccolta delle uve a fine Agosto lo zucchero risulta di 26 gradi Brix.
La maturazione di questa uva è precoce, nella prima decade di Agosto già risulta pronta per essere raccolta.
Dopo gli ottimi risultati organolettici delle prime microvinificazioni, incuriositi sempre di più anche nel non trovare riscontro ampelografico in altre varietà note, facemmo l’esame del DNA presso un laboratorio accreditato dall’università di Milano-Bicocca. I risultati furono stupefacenti, il DNA della nostra vite non risultava iscritto in nessun database internazionale confrontato dal laboratorio, ma aveva un grado di parentela con il vitigno Carignan.
Capimmo subito quindi di avere fra le mani un tesoro e la responsabilità di un futuro per questa vite.
L’obiettivo di questa ricerca è salvare questo vitigno dall’estinzione e coltivarne un terreno nei nostri territori per produrne dell’ottimo vino dalle caratteristiche ormai scomparse.
Il piccolo vigneto sperimentale è situato su un terreno collinare di origine vulcanica tipico del nostro territorio (Grottaferrata), a circa 400 metri sul livello del mare. Le condizioni climatiche sono miti d’estate massimo 34-35 °C e abbastanza rigide di inverno, arrivando in alcuni casi anche a -9 °C, temperature a cui sono state sottoposte le viti in esame, resistendo senza alcun problema. Viste le condizioni del luogo in cui giaceva la vite raccolta, abbiamo preferito, per ricreare il suo Habitat nativo, la tecnica dell’inerbimento del suolo senza alcun tipo di lavorazione del terreno.
Il 10 febbraio 2021 la Ranchella è stata registrata al Registro Nazionale delle Varietà come incrocio tra Vitis vinifera e altre specie del genere Vitis. In base alla legge 238/2016 le uve non sono utilizzabili per i vini a denominazione ma questo non penso sia un problema vista la qualità delle uve che troveranno certamente un apprezzamento tra i consumatori considerando anche la riduzione nell’utilizzo di fitofarmaci in viticoltura che questa varietà consente. La Ranchella risponde nel migliore dei modi a questa problematica e può essere una valida novità per rilanciare il territorio con un’impronta di sostenibilità.
La varietà è ancora in fase di sperimentazione e continuiamo di anno in anno a realizzare microvinificazioni e testarne le qualità. Prevediamo, compatibilmente con i permessi di produzione, di realizzare la nostra prima etichetta di Ranchella in purezza nel 2024.
Questa vite sarà la protagonista di un progetto in fase di realizzazione che prevede la coltivazione di un vigneto a zero impatto ambientale, dove verrà ricreato il più possibile il suo Habitat naturale, con inerbimento del suolo, terreno collinare e nessun trattamento fitosanitario, cercando di favorire la biodiversità in cui cresceva. La biodiversità delle piante presenti in vigneto è fondamentale, viste le nostre sperimentazioni, per far crescere senza problemi la vite Ranchella a piede franco, condizione nella quale esprime il massimo delle potenzialità nei vini.
Anche le tecniche di vinificazione saranno particolari e frutto di anni di sperimentazione, la nostra varietà ha infatti il pregio di essere “Tintoria”, ossia la sua polpa è intensamente colorata, a differenza della maggior parte delle varietà a bacca rossa che hanno la polpa incolore o quasi e cedono la pigmentazione dalle bucce tramite macerazione durante la fermentazione. Questa caratteristica della nostra vite, da la possibilità di effettuare una fermentazione in “bianco”, cioè senza la permanenza delle bucce nei mosti. Questo permette di ottenere un vino morbido e delicato come i bianchi, ma con le caratteristiche di corposità dei rossi. La fermentazione che effettueremo nelle nostra Cantina Distilleria verrà fatta in Dolia Romani appositamente progettati e realizzati da noi, la caretteristica che li differenzia da tutte le altre anfore in terracotta è una particolare impermeabilità dell’interno, una vetrificazione che non permette ai mosti di entrare in contatto con le superifici porose, ma di restare unicamente in contatto con il vetro avendo però la stabilità termica di un isolante come la terracotta. Ad oggi nessun vino che si conosca viene fermentato in vetro; comunemente i recipienti utilizzati per le fermentazioni dei mosti sono l’acciaio inox, il cemento isolato con resina epossidica e il legno delle botti. Il primo, l’acciaio inox, non offre in genere una buona stabilità termica al mosto, dovendo ricorrere a sistemi complessi per la gestione delle temperature, inoltre il nichel, il cromo e il ferro presenti nella lega di acciaio vengono in piccolissima parte ceduti al vino.
I vasi in cemento, invece largamente impiegati, sono in realtà ricoperti internamente di resina epossidica un polimero plastico che con il passare degli anni viene degradato dalla corrosione dei mosti e dei vini e quindi costantemente ripristinato.
Basti pensare nel quotidiano alla differenza che si percepisce da note bevande conservate in lattina, plastica o Vetro! Tanto è che per la conservazione a lungo termine del vino si preferisce infatti il vetro.
La fermentazione in legno non viene solitamente utilizzata per evitare l’eccessiva ossidazione dei mosti.
Il problema di eseguire una fermentazione in vetro, sta nella difficoltà tecnica nel realizzare grandi contenitori in vetro o giare in terracotta di grandi dimensioni perfettamente vetrificate. Il brevetto che stiamo realizzando, dopo lunghissime sperimentazioni, prevede invece di realizzare appunto dei contenitori di medie dimensioni in terracotta (il Dolium Romano appunto) perfettamente vetrificati internamente tramite un’innovativa tecnica da noi messa a punto. Si tratta di un rivestimento interno in vetro puro (biossido di silicio), non “vetrificanti” in resina epossidica (plastica).
Questo materiale inerte conferisce al nostro vino una particolarità unica che, unita all’assenza di trattamenti in vigneto, ne fa un vino privo di metalli pesanti e ricco di profumi e tipicità. Oltre ai metalli che in parte vengono ceduti al vino durante le tradizionali tecniche di fermentazione, c’è infatti anche il rame molto presente nei vini derivante dai trattamenti a base di rame e zolfo che vengono effettuati nei vigneti.
Finita la fermentazione nel Dolium di nuova concezione, il nostro vino giovane viene fatto maturare per diversi mesi in barrique di legno che conferiscono al vino le note finali di equilibrio. Il passaggio finale prevede poi l’affinamento di almeno 3 anni in bottiglia in grotte scavate a mano nei secoli, fra strati di colate laviche del nostro antico vulcano Laziale.
Ma non finiscono qui i pregi di questa meravigliosa Vite che la natura ci ha donato, le bucce infatti, inizialmente separate dal mosto, verranno lasciate fermentare a parte in atmosfera controllata e alla fine di questo processo, verranno distillate mediante un innovativo processo di distillazione, che prevede un passaggio di vapore all’interno della massa, in un particolare tipo di alambicco da noi concepito.
Il prodotto ottenuto è una grappa dalle caratteristiche uniche, particolarmente profumata, delicata e complessa, frutto di un lavoro unico ed esclusivo.
Tutto questo realizzato nella nostra antica cantina storica sita in Marino (RM), che con tanta passione, determinazione e difficoltà stiamo restaurando e che ospiterà unicamente questa varietà in purezza, la Ranchella, frutto probabilmente della selezione naturale, un “Ibrido Raffinato” così definito dal Dott. Zavaglia in uno dei nostri colloqui telefonici. La Cantina Distilleria, completamente realizzata in pietra e mattoni con volte a botte, unirà antichità e innovazione. Infatti, tutta l’energia elettrica necessaria all’attività viene prodotta mediante un innovativo impianto fotovoltaico a inseguimento passivo, portando completamente a zero le emissioni in ambiente, sia in termini di CO2 che in termini di trattamenti chimici sulla coltivazione, una nuova Agricoltura che segnerà secondo noi una nuova epoca culturale.
Francesco e Marco Ranchella
Questa storia racconta di come la casualità di un ritrovamento possa cambiare il corso degli eventi e scrivere indelebilmente una pagina di ampelografia. Dare il proprio cognome ad una varietà è di per sé una enorme gratificazione ma senza la caparbietà e la passione di questi due fratelli niente sarebbe successo.
Se l’enorme potenziale di questa varietà si confermerà nel vino non lo si può ancora sapere ma lo scopriremo in futuro. Intravedo comunque i contorni di una storia epica che non vedo l’ora di continuare a raccontare, magari sorseggiando un calice di Ranchella.
Luca Gonzato
Per informazioni: francesco.ranchella@gmail.com
Note
Il Carignan è una varietà originaria della Spagna, ampiamente diffusa in Francia, portata poi in Italia e coltivata nella zona del Sulcis in Sardegna.
Sebbene non confermato, è stato individuato come altro genitore della Ranchella e portatore delle resistenze, un ibrido della produzione di Georges Couderc, famoso breeder francese (1850-1928).
Si ringraziano, il Dott. Carmelo Zavaglia del CREA, il Dott. Daniele Migliaro del CREA, il Prof. Fabio Massimo Frattale Mascioli dell’Università la Sapienza di Roma, la FEM2 Laboratorio accreditato dell’Università Milano Bicocca e il Prof. Marco Stefanini della Fondazione Edmund Mach dell’Istituto Agrario di San Michele all’Adige.