STORIE: Il Fragolino
Si chiama Isabella ma si conosce come Uva fragola, è un ibrido produttore diretto. Nel 2016 gli studi e i marcatori molecolari ne hanno definito l’incrocio come Vitis Labrusca x Meslier Petit (Heunish Weiss x Savagnin=Traminer)1. Questa uva ha ben 104 sinonimi, tra cui Uva fragola. Insieme all’altro ibrido Noah (bacca bianca), sono gli unici due iscritti al Registro Nazionale come varietà a destinazione particolare.
Storia del vitigno
Leggi che regolano la produzione e la vendita di questo vino
Per gentile concessione del Dott. Edoardo Mori, Autore di questo testo.
Ex magistrato, giudice, scrittore e divulgatore.
L’uva fragola (detta anche Uva americana, Isabella, Raisin de Cassis) è la più antica “vite americana” introdotta in Europa ben prima che sorgesse il problema della fillossera. In Francia si hanno le sue prime notizie nel 1820 e in Italia nel 1825.
È un vitigno poco resistente alla fillossera ed alla peronospora, ma resiste bene al freddo, il che spiega la sua diffusione nelle vallate alpine. Il vino che se ne produce, detto fragolino, ha un particolare aroma di fragola che i francesi chiamano framboisier o cassis e gli anglosassoni foxy (volpino). Questo aroma in passato non è stato molto apprezzato, ma ora il fragolino sta trovando sempre più estimatori.
Vi sono però dei problemi giuridici che ne ostacolano la vendita. Per comprendere la situazione attuale occorre ripercorrere la storia dell’uva fragola.
All’inizio del secolo l’unica vite coltivata nel vecchio continente, e cioè la Vitis vinifera, venne aggredita da un parassita animale, la fillossera, che ne minacciava la distruzione. Unica soluzione per salvare i nostri vigneti fu di importare, come portinnesti, dei vitigni americani divenuti resistenti al parassita, alcuni puri, altri ibridi di specie americane e, successivamente, altri ibridi di specie americane con specie europee. Vennero compiuti anche degli esperimenti di ibridazione tra specie europee ed americane per cercare di evitare l’innesto sul piede americano (e vennero detti perciò ibridi produttori diretti), ma con scarsi risultati e molti difetti: modesta resistenza ai parassiti ed alle malattie e aromi anomali. Tra i più noti il Clinton, il Noah o Clinton bianco, l’Elvira, il Taylor, (ibridi tra la Labrusca e la Riparia), lo York-Madeira (Labrusca +Aestivalis), l’Othello (Labrusca + Riparia + Vinifera), lo Jacquez e l’Herbemont (Aestivalis + Cinere + Vinifera), questi ultimi privi del sapore foxy.
Il dilagare di questi ibridi produttori diretti, troppo spesso considerati la soluzione nazionale al problema vinicolo, portarono ad una sovraproduzione di vini scadenti e alla percezione del pericolo che rappresentavano per la qualità del prodotto. Intervenne il legislatore con la legge 23 marzo 1931 nr. 376 che vietava “la coltivazione dei vitigni ibrdi produttori diretti” salvo che nelle province in cui gli organi ministeriali “ne riconoscano l’utilità” e con modalità da stabilirsi con decreto ministeriale. Esso non riguardava perciò l’uva fragola. Però pochi anni dopo, con la legge 2 aprile 1936 nr. 729 si estendeva la norma anche da essa stabilendo che il divieto si applica “anche alla coltivazione del vitigno isabella (vitis labrusca) sotto qualunque nome venga qualificata. Tale coltivazione è peraltro ammessa anche fuori dei limiti stabiliti, nei casi nei quali risulti accertato che è fatta solo allo scopo di produzione di uva destinata al consumo diretto”.
Per consumo diretto doveva ovviamente intendersi sia il consumo come uva da tavola che la sua vinificazione.
Queste norme venivano poi riprodotte nel T.U. del R.D. 16 luglio 1936 nr. 1634.
Le disposizioni appena viste non sono mai state applicate con molta rigidità e sia l’uva fragola che gli ibridi produttori diretti hanno continuato ad essere coltivati. Né il ministero ha mai emanato i decreti che avrebbero dovuto disciplinarne la coltivazione. L’uva fragola si trova del resto in regolare vendita sul mercato ortofrutticolo.
Si può quindi concludere che, a parte il divieto teorico della coltivazione e privo di sanzioni (salvo ovviamente quella patrimoniale di non poter chiedere contributi per l’impianto di coltivazioni di uva fragola o di clinton!), nulla impediva all’epoca di coltivare uva fragola, di venderla e di vinificarla.
Si può anche concludere che il legislatore non ha mai inteso vietare il vino di uva fragola per il fatto che esso contiene una percentuale superiore alla media di metanolo, come è invece opinione diffusa tra i profani.
Meno favorevole è la situazione del vino prodotto con queste uve, a partire dal 1965.
L’art. 22 DPR 12 febbraio 1965 nr. 162 proibiva, sic et simpliciter, la vinificazione di uve diverse dalla vitis vinifera; però subito, a seguito delle proteste dei coltivatori, interveniva il legislatore a correggere la legge; così l’art. 1 della legge 6 aprile 1966 n. 207 stabiliva che “sono vietati la detenzione a scopo di commercio ed il commercio dei mosti e dei vini non rispondenti alle definizioni stabilite o che abbiano subito trattamenti ed aggiunte non consentiti o che, anche se rispondenti alle definizioni e ai requisiti del presente decreto, provengono da vitigni diversi dalla vitis vinifera, eccezion fatta per i mosti ed i vini provenienti da determinati vitigni ibridi, la cui coltivazione potrà essere consentita con decreto del ministro per l’agricoltura e le foreste in relazione alle particolari condizioni ambientali di alcune zone ed alle caratteristiche intrinseche dei vitigni stessi… Si intendono detenuti a scopo di commercio i mosti o i vini che si trovano nella cantina o negli stabilimenti o nei locali dei produttori e dei commercianti”.
Ci vuol poco a comprendere che il legislatore, secondo un uso ben consolidato, non sapeva bene di che cosa stesse parlando e perciò si è rifugiato in una espressione generica (vitigni bridi) che nulla dice e che demanda tutto a decreti ministeriali che possono concernere sia ibridi produttori diretti, sia ibridi di altro tipo, sia l’uva fragola, di cui non si sa bene se sia o no un ibrido, ma che senz’altro il legislatore voleva salvaguardare, visto che esso era proprio il prodotto principale per cui era stata sollecitata la correzione della legge! La legge però contiene un notevole miglioramento della situazione giuridica del fragolino: mentre la legge del 1936 ne consentiva solo l’uso diretto, tale limitazione è sparita nella legge del 1966 la quale autorizza, alla sola condizione della preventiva autorizzazione, la coltivazione della vitis labrusca, senz’altra limitazione e quindi anche al fine di vinificarla e di porla in commercio.
Da come è formulata la norma (molto male!) si deduce anche che è impossibile ravvisare una sanzione a carico di chi vinifichi uva fragola senza autorizzazione sia che lo faccia per uso proprio sia al fine di porlo in commercio. Non può applicarsi la norma che vieta di porre in commercio vino non proveniente dalla vitis vinifera perché è il legislatore stesso a consentire la vinificazione e la detenzione del relativo prodotto a scopo di commercio; non si può punire la coltivazione senza autorizzazione perché nessuna sanzione è prevista.
Stando alla lettera della legge non parrebbe neppure vietato di chiamare il fragolino “vino”, anche se ragioni di cautela (essendo il termine “vino” riservato al prodotto della vitis vinifera anche in norme comunitarie) consigliano di evitare ciò e di chiamarlo solo “fragolino” o “bevanda a base di uva fragola”.
Quindi, a partire dal 1966 l’uva fragola poteva essere coltivata per produrre uva destinata al consumo diretto, non vi è alcuna sanzione per chi vendeva l’uva fragola come uva da tavola, la vinificazione dell’uva fragola è consentita, era consentito porre in commercio il prodotto della vinificazione dell’uva fragola.
A seguito dell’entrata in vigore di normative europea, la situazione giuridica è stata ulteriormente modificata. Il Regolamento n. 822/1987 del 16 marzo 1987 ha fissato l’elenco dei vitigni che possono essere utilizzati per la produzione di prodotti vinosi in esso si prevede una deroga temporanea per gli incroci interspecifici (ibridi produttori diretti)
Infine il Regolamento (CE) n. 1493/1999 del Consiglio del 17 maggio 1999 relativo all’organizzazione comune del mercato vitivinicolo, all’art. 19, ha stabilito che:
1. Gli Stati membri compilano una classificazione delle varietà di viti per la produzione di vino. Tutte le varietà classificate appartengono alla specie Vitis vinifera o provengono da un incrocio tra questa specie e altre specie del genere Vitis. La classificazione non può applicarsi alle varietà seguenti: Noah, Othello, Isabelle, Jacquez, Clinton e Herbémont.
- Nella classificazione gli Stati membri indicano le varietà di viti atte alla produzione di ciascuno dei v.q.p.r.d. prodotti nel loro territorio. Tali varietà appartengono alla specie Vitis vinifera.
- Soltanto le varietà di viti menzionate nella classificazione possono essere impiantate, reimpiantate o innestate nella Comunità per la produzione di vino. La restrizione non si applica alle viti utilizzate a scopo di ricerca ed esperimenti scientifici.
- Le superfici piantate con varietà di viti per la produzione di vino non menzionate nella classificazione devono essere estirpate, tranne nei casi in cui la produzione è destinata esclusivamente al consumo familiare dei viticoltori.”
Questa disposizione, che ribadisce la possibilità di coltivare la vitis labrusca per il consumo diretto, non avrebbe inciso più di tanto se il legislatore italiano, con la legge 4 novembre 1987 nr. 460, che convertiva il D.L. 7-9-1987 nr. 370 non avesse stabilito l’obbligo di estirpare le viti proibite, pena la rimozione d’ufficio a spese del coltivatore (art. 4) e non avesse comminato la pena della multa da lire 210.000 per ogni quintale di mosto o vino prodotto con uve diverse da quelle consentite da regolamento europeo del 1987 e detenute a scopo di commercio, posto in vendita o somministrato, pena comunque non inferiore a lire 1.200.000.
La legge si è dimenticata del tutto della coltivazione dell’uva fragola da utilizzare come frutto per la distillazione di acquaviti. Non esiste ragione al mondo di vietare questo impiego ed è evidente che la legislazione, nella sua preoccupazione, ormai superata, di vietare la coltivazione del vitigno andrebbe interamente rivista: se si vuole (o si deve per obblighi comunitari) mantenere il divieto di vinificazione per uso commerciale,si deve però riconoscere che l’uva fragola è un frutto come un’altro che è insensato non coltivare.
In conclusione lo stato attuale della questione è il seguente:
- È consentito coltivare l’uva fragola in tutto il territorio italiano “per il consumo familiare dei viticoltori”. L’espressione sembra restrittiva rispetto a quella precedente che vietava solo la produzione a scopo di commercio, ma in realtà è praticamente coincidente: il consumo familiare non esclude ovviamente la possibilità di regalarlo ad estranei alla famiglia.
- L’obbligo di estirpazione per i vigneti che superano l’estensione richiesta per destinare l’uva ad un uso familiare, sia pure allargato, concerne solo le viti “per la produzione di vino”; non si applica perciò a coltivazioni destinate a produrre uve da tavola.
- È punibile chi mette in commercio vino fragolino prodotto da vitis labrusca. Se poi egli riesce a produrlo in altro modo … sono fatti suoi!
- Non è punibile chi distilla l’uva fragola.
Edoardo Mori
Note:
Visitando il sito di Edoardo Mori https://www.mori.bz.it si possono approfondire numerosi argomenti. La sezione Gastronomia raccoglie 150 testi sulla storia della gastronomia europea. L’opera di divulgazione di Edoardo Mori è un patrimonio enorme.
Rivolgo all’Autore il mio più sincero ringraziamento per avermi concesso l’opportunità di pubblicare il suo scritto.
Luca Gonzato vinievitiresistenti.it
1 Vitis International Variety Catalogue VIVC – Isabella
Foto d’apertura: elaborazione grafica di Luca Gonzato, grappoli di Isabella. Foto di Ursula Brühl, Julius Kühn-Institut (JKI), Federal Research Centre for Cultivated Plants, Institute for Grapevine Breeding Geilweilerhof – 76833 Siebeldingen, Germany.
Ciao Luca. Bello questo riassunto sulla Isabella. Dunque, è un interspecifico, ma poco resistente, vietato in EU per la vinificazione.
Ma è un Piwi??? Se sì, fuori dalla UE, dove si può vinificare e vendere, può fregiarsi del logo Piwi? E in UE, lo si può usare sugli eventuali sottoprodotti ammessi (grappe e aceti)?
Ciao Luca. Isabella è iscritta come incrocio interspecifico. Non la definirei Piwi in quanto con questa dicitura è consuetudine riferirsi alle varietà da vino e a reincroci in cui domina vitis vinifera. La considero un ibrido (50/50). Ma aldilà di questo, il nome Piwi risulta ancora un marchio registrato con un evidente legame a Piwi International. Come varietà l’ho trovata iscritta in Svizzera ma non negli altri stati a noi vicini e in commercio. Su questo non ho certezze, dovrei approfondire. Fuori UE risulta coltivata in numerosi stati tra cui India, Bali, Giappone, Brasile, Nuova Zelanda, (fonte winesearch.com)
Mi spiace non avere altre informazioni che rispondano alle tue domande.