PIWIPEOPLE: Thomas Niedermayr
Milano, ristorante giapponese Kanpai. È questo il luogo d’appuntamento con Thomas Niedermayr, una delle figure principali nel mondo dei vini da varietà resistenti. I suoi vini sono indubbiamente tra i più rappresentativi del mondo Piwi. La tenuta Hof Gandberg di Appiano sulla Strada del Vino (BZ) è il luogo dove 30 anni fa, grazie a Rudi Niedermayr papà di Thomas è iniziato il percorso verso una viticoltura che abbraccia la biodiversità e si traduce in vini naturali di grande espressione territoriale
Di seguito l‘intervista, o meglio la chiacchierata che abbiamo fatto.
Prima di addentrarci in alcune tematiche ti faccio una domanda alla quale avrai risposto centinaia di volte ma che è doveroso farti. Quale è la storia e da dove nasce il legame di Hof Gandberg con i vitigni resistenti?
T.N.: Il percorso è il frutto di una lunga ricerca, per arrivare ad una agricoltura biologica finalizzata alla produzione di una frutta sana coltivata in un ambiente sano. All’inizio mio padre usava ancora i trattamenti convenzionali ma non gli sono mai piaciuti e così ha iniziato ad essere critico su questo tipo di gestione e su cosa significasse il concetto di naturale. Ha iniziato a fare ricerche, senza che nessun Istituto lo aiutasse. Negli anni ’80 ha smesso di usare gli erbicidi, i sali minerali, ha ridotto di molto anche i pesticidi in generale. Finché ha visto un cambiamento nella natura, ha visto che respirava e tutto migliorava, anche nella qualità della frutta. In quell’epoca non era facile fare Bio, le varietà erano il frutto di una selezione molto precedente, diversa, dove anche il pensiero era diverso.
Tornando al discorso di naturalità, non è sufficiente usare solo prodotti biologici come rame e zolfo, ci vuole una pianta più robusta, anche per far crescere biodiversità tra i filari. A fine anni ’80 mio papà ha messo nidi per gli uccelli, fatto siepi per una protezione creando spazi per gli insetti, un habitat che consentisse una naturale biodiversità.
Tuo padre Rudolf ha dato una definizione molto chiara sulla filosofia di produzione: “solo in un ambiente sano possono nascere prodotti sani”, mi spieghi nel concreto come applichi questo principio in vigna e in cantina?. In realtà mi hai già risposto nella precedente domanda. Semplifico e ti chiedo, la cantina come è gestita?
La cantina arriva molto dopo, esiste dal ’93, prima portavamo le uve nella cantina sociale. Poi non aveva più senso portarle lì perchè alle uve da agricoltura biologica veniva applicata una gestione super convenzionale.
Con la nuova cantina, all’inizio usavamo lieviti selezionati, poi mio papà ha trovato la ricetta giusta per valorizzare le uve, bentonite, filtrazione. una lavorazione tradizionale ma semplice. Ha fatto tantissimi esperimenti. Poi quando ho preso in mano l’azienda, 10 anni fa, nel 2012 ho voluto seguire quello che succedeva in vigna anche in cantina. Ho iniziato a fare fermentazione spontanea, dal 2013 su tutti i vini, nessun tipo di chiarifica e nessun tipo di filtrazione. Avevo già l’idea di fare un vino pulito, di qualità e con una certa profondità senza intervenire. Lì ho capito che i tempi erano molto più lunghi rispetto a quelli di mio papà. È cambiato lo stile e all’inizio ho anche perso tutti i clienti suoi, però mio papà ha avuto fiducia e mi ha dato le chiavi per continuare. In cantina c’è anche Christine che mi aiuta in tante cose, in vigna, gestendo i social ed accompagnandomi alle fiere.
(Papà Rudolf ha ora 72 anni, aiuta ancora, seguendo soprattutto la parte di sperimentazione di incroci. Anno per anno esegue selezioni e microvinificazioni. Thomas è dell’86)
L’Alto Adige è la culla dei Piwi in Italia, ho sentito diverse voci su chi sono stati i primi ad introdurre i Piwi, cosa puoi raccontarmi in proposito?
Non esiste il primo, esistono i primi. Erano un gruppo di agricoltori biologici fra i quali Spornberger Paul di Gries, Egger Franz di Salorno, Franz Josef Pfeifhofer di Lana (Zollweghof) e mio Papà Rudolf. Dopodichè se ne sono aggiunti molti altri.
Avevate legami di conoscenza?
Sì, ci conosciamo molto bene; diciamo che il legame era per l’indirizzo Bio intrapreso.
Nella tua produzione, a parte il Pinot bianco sono tutti Piwi, giusto?
Dal 2019 abbiamo tutti vitigni Piwi, dopo la raccolta abbiamo estirpato anche il Pinot bianco.
Le varietà che coltivi sono Souvignier Gris, Bronner e Solaris. Pensi che siano le migliori possibili su cui puntare o vedi altre varietà che potrebbero essere sperimentate con successo nel tuo territorio?
Come vitigni principali sono quelli che ho ma ci sono tante altre cose. Con queste varietà siamo molto contenti, con l’esperienza acquisita sappiamo bene come gestirle e come vinificarle. Assolutamente ci saranno nuove varietà in arrivo molto interessanti, in particolare quelle che stiamo incrociando e sperimentando noi. È importante non fermarsi perchè la natura non si ferma, né i microorganismi e le malattie. Per noi è importante portare avanti queste varietà per un discorso di qualità. Mettiamo anche nuovi vitigni e li testiamo.
Sui rossi state provando qualcosa?
Abbiamo il nostro Gandfels, che un blend di Cabernet Cortis e altre varietà resistenti. In questo caso non mi interessa il monovitigno ma il risultato finale dato dall’assemblaggio.
A proposito del territorio, la comunicazione dei vini Piwi secondo te deve puntare all’indicazione del territorio di provenienza del vino o alla varietà utilizzata?
Per valorizzare un territorio non è importante il vitigno ma il risultato. Dipende da dove cresce l’uva, non è importante che sia un Bronner o un Solaris.
È quello che penso anche io, i Piwi del’Alto Adige si distinguono per vari aspetti, penso alla mineralità, alla struttura, alla freschezza….
Per quanto riguarda l’Alto Adige, hai sicuramente ragione – sono proprio questi gli elementi che caratterizzano il nostro territorio. Per me è anche importante che i nostri vini abbiano carattere, profondità, parlino della loro provenienza e dell’annata nella quale sono cresciuti. Abbiamo un’esperienza maggiore di 25 anni.
Sul versante del marketing valutate il territorio o il vitigno?
A me piace molto il risultato finale dei vari territori, penso a Chateneuf du pape dove si usano tante varietà in assemblaggio, quello che conta è il risultato finale e la strategia territoriale. Va bene anche il vitigno singolo ma nell’ambito territoriale altrimenti si confonde facilmente.
La recente apertura alle Denominazione d’Origine potrà consentire in futuro l’ingresso di percentuali di Piwi insieme ad altre varietà. La vedi come una buona opportunità oppure sarebbe meglio individuare e creare nuove D.O. in cui le varietà Piwi siano protagoniste?.
Secondo me convivono entrambe le cose. I tradizionalisti vorranno continuare con le varietà tradizionali, sebbene vadano contro alle prerogative di una viticoltura più sostenibile, ma non sono contro. A Bordeaux va bene che entrino in una percentuale. Personalmente sono contro questa modalità. Sarei contentissimo se domani potessi scrivere Alto Adige in etichetta perchè i vini arrivano da lì. Poi non è detto che un domani si possa entrare in una Doc con il tipo di vino che facciamo, naturale, non chiarificato e non filtrato, quando il disciplinare prevede altra lavorazione. Dovrebbero cambiare i disciplinari, ora sono fatti per vini industriali di impostazione classica.
Sei associato a Piwi International e sei tra i fondatori, hai certificazione biologica e aderisci all’Associazione Bioland e ai suoi valori. Cosa ne pensi del sempre maggiore interesse alla coltivazione Piwi e come secondo te dovrebbe crescere questo movimento?.
Il sempre maggiore interesse e coltivazione Piwi lo vedo molto positivo. Sia secondo me che anche dal punto di vista di tanti scientifici i Piwi danno molte risposte ai problemi climatici e ambientali di questo periodo. Ma sicuramente è fondamentale che i Piwi non devono essere usati per produrre ancora di più in modo ancora più economico. Secondo me devono valorizzare un territorio e per riuscire a fare questo è assolutamente indispensabile che si facciano vini di qualità.
Ogni regione e produttore dovrebbe essere libero di muoversi come vuole oppure è meglio aderire ad un gruppo/associazione?
Sì, ognuno secondo me dovrebbe essere libero di muoversi come vuole. Comunque aderire ad un gruppo/associazione è molto importante per poter promuovere un’idea insieme. Come detto lavorare con varietà PIWI non significa automaticamente lavorare in modo sostenibile. Se vogliamo che la parola PIWI possa garantire una certa sostenibilità alcune norme fondamentali come una certificazione biologica; rese massime ecc. devono essere garantiti.
Un altro aspetto importante delle associazioni è la possibilità di trovare confronti – Motivo anche per il quale PIWI International è stato fondato. È importante viaggiare, assaggiare, capire dove sta la qualità, avere una viticoltura che permettere di valorizzare il proprio territorio anche per le prossime generazioni.
Cosa diresti a un consumatore che non conosce i vini da vitigni resistenti per invogliarlo a provarli?
Vedo che il consumatore, se gli piace il prodotto, non gli interessa la parola Piwi. Funghi, resistenza, sono parole difficili da capire, non creano curiosità, fanno più paura. Parlerei prima della filosofia generale dell’azienda. Il vitigno rientra poi in questa filosofia. Se il consumatore vuole sapere di più glielo spiego più che volentieri altrimenti beviamoci il vino e divertiamoci!
Qui aggiungo una mia breve riflessione. Ho creato questo sito che si chiama Vini e Viti Resistenti per far conoscere il mondo che ci sta dietro, da dove arrivano, quali sono le varietà ecc.. ma sono assolutamente convinto che sono dei vini come gli altri, con in più tutti quei valori portati dai vitigni resistenti. Non vedo più in futuro questa differenziazione. Sempre più saranno presenti nuove varietà e sempre più faranno parte dell’offerta vinicola.
Thomas: prendi ad esempio lo Champagne, c’è il Pinot noir, il Meunier, lo Chardonnay… poi il consumatore dice che è buono e gli interessa poco da che varietà è composto, anche se ci fossero Piwi dentro non interessa a nessuno. Lo stesso varrebbe per il Prosecco con le nuove Glera resistenti che usciranno. Adesso esiste il Prosecco rosé con il Pinot, domani potrebbe esserci un Prosecco con il 50% di Piwi, rimane un Prosecco. Sono strategie di marketing.
In questo periodo storico, seppur già abbastanza lungo, i Piwi risultano ancora poco conosciuti sia per la qualità che per le caratteristiche intrinseche. Una ‘novità’ se paragonata ai vini genericamente definiti naturali, biologici e biodinamici. Pensi che il target di riferimento per i Piwi sia quello dei winelover, dei sommelier, dei ristoratori, in generale una nicchia più esperta, oppure, ci si possa rivolgere indistintamente a tutti i consumatori attraverso la grande distribuzione ad esempio?
Dobbiamo sempre guardare alle persone che portano avanti queste conoscenze. Noi ad esempio ci rivolgiamo in particolare ai ristoratori e ai sommelier. Loro portano al tavolo la nostra storia. Però funziona anche in altri posti dove c’è un’attenzione verso questi vini, ci vuole impegno e testa. Questo è anche un vantaggio perchè ci permette di lavorare con i migliori ristoranti e sommelier. Sono in particolare quelli più giovani, tra i 20 e i 40 anni che capiscono e apprezzano che si va oltre il biologico e il biodinamico.
Si trovano vini Piwi molto diversi, sia a livello qualitativo che di costo. La fascia di prezzo oscilla prevalentemente fra i 15 e i 30€, il che presuppone qualità ed un posizionamento sulla fascia medio/alta. A mio parere è corretta se si vogliono evidenziare le peculiarità indubbiamente superiori rispetto ad altri vini. C’è però chi si propone sul mercato sotto i 10€. Come vedi queste discrepanze? Non credi che l’appiattimento verso il basso danneggi tutto il comparto dei Piwi?
Diciamo che è vero che anche nei vini di massa l’apporto dei Piwi porterebbe un beneficio per l’ambiente rispetto alla coltivazione convenzionale di un Pinot grigio, uno Chardonnay o altro.
Secondo me, e per rispondere alla tua domanda, è comunque una questione di principio – si trovano addirittura vini DOCG a 3 € negli scaffali degli supermercati. Questo fa senso se il DOCG in teoria dovrebbe essere la forma qualitativa più alta? Un vino sotto un certo prezzo non sarà mai qualitativamente altissimo e men che meno sostenibile.
Mi è capitato di andare al supermercato, non ci vado spesso e non ci compro mai i vini ma quel giorno ho visto un Solaris e mi ha incuriosito, era in vendita a 4 euro circa. A casa l’ho assaggiato e tecnicamente poteva anche essere accettabile ma era terribile, verde… Qui ritorniamo sempre al discorso di qualità.
Cambiando argomento, mi è venuta la curiosità di chiederti se ti capita di assaggiare altri vini Piwi e quali hai trovato più interessanti.
Ce ne sono davvero tantissimi! Sicuramente quelli di Alessandro Sala (Nove Lune), li trovo molto interessanti. I vini di Silvano Clementi, di Pojer e Sandri; Grawü, Ansitz Dornach, poi alcuni austriaci o tedeschi, Totter ad esempio, poi in Alto Adige quelli di Santerhof e Zollweghof che hanno uno stile diverso dal mio ma hanno carattere.
Hai in progetto qualcosa di speciale, nuovi vini o altro?
Sì, siamo sempre al lavoro e sperimentiamo, siamo una piccola azienda, c’è ancora tanto da scoprire. Anche come spumanti ci stiamo lavorando ma devo ancora capire cosa voglio ottenere esattamente. Poi ci chiedono un vino dolce. Nelle prossime settimane presenteremo a VinNatur la nuova annata di Freistil, un PetNat riuscito molto bene. Poi presenteremo a fine aprile il Solaris ‘vecchie vigne’ della vendemmia 2018 le cui uve provengono dal primo impianto più grande fatto nel 1999. Questo Solaris prenderà il nome di S.ALT, a ricordare il S.olaris e ‘vecchio’ dal termine tedesco Alt per la vigna più antica, insieme trasmettono ‘Sale’ e quella espressione minerale tipica del territorio.
Ultima domanda, cosa ne pensi di vinievitiresistenti?
Ti dico la verità la prima volta non l’ho guardato bene poi l’ho rivisto e ho trovato un sacco di cose. Per me oggi è un sito utile, molto informativo, una piattaforma dove posso trovare tanti altri produttori con la loro esperienza e scoprirne di nuovi.
Grazie Thomas, è stato un grande piacere conoscerti!
Luca Gonzato
PS. Nella serata abbiamo degustato un Cocktail esotico ed aromatico, un Saké con un volume alcolico del 14% con aromi delicati ed eleganti floreali e di riso, ed infine un vino bianco macerato Portoghese di buona struttura e grande freschezza con ricordi citrini. Dalla cucina sono arrivati ottimi piatti della tradizione giapponese. Non abbiamo bevuto i vini di Thomas ma se capitate al Kanpai potete chiederli, i suoi bianchi sono particolarmente adatti per essere degustati con la cucina giapponese.