PIWIPEOPLE:  Luca De Palma

Ciao Luca, tu sei una delle persone più attive e competenti nel mondo dei PIWI. Mi racconti da dove nasce l’interesse verso i vitigni resistenti e come si è sviluppato?

Ciao a te Luca, piacere mio conoscerti. No ma grazie, magari fosse come dici! I vitigni ibridi resistenti li ho conosciuti abbastanza tardi, non ai tempi degli studi universitari ma solo in seguito alle autorizzazioni legislative; dunque molto dopo tanti veri pionieri visionari ma certamente anche molto prima di chi li incontra oggi per la prima volta e li pensa come curiosa “novità”. La Competenza è un traguardo raro e prestigioso, è impossibile sapere completamente ogni aspetto di questo mondo Piwi, dalle origini della storia al suo futuro nelle tecniche, dalla vitienologia al marketing. Piano piano spero di colmare le mie lacune e seguo con piacere chiunque si adopera in questi temi. Lo faccio nei ritagli di tempo libero e cerco di essere una spugna. Per fortuna trovo un ambiente molto friendly e disponibile alla condivisione. Come enologo, certo di non primo pelo però sempre curioso, mi entusiasmo ancora quando sento il brivido della novità. Dalla mia ho l’esperienza, la tecnica e la professione quindi la mia competenza è esclusiva su questi aspetti. Cerco quindi di mettere a disposizione queste capacità e farlo in modo più o meno “social”. Gli enologi solitamente non si espongono in modo diretto nella comunicazione, è un problema noto. In effetti non sono bravissimo però “attivo” mi piace, è una passione vera ed attualmente mi soddisfa. Spero di essere utile e ricambiare il favore. Come è nata l’idea? In pratica, ma in modo poco efficiente, volevo assaggiare alcuni vini e capire il potenziale enologico dei singoli vitigni, fare cioè una sorta di catalogazione. Per me era “lavoro” il costruirmi un database di sensazioni edonistiche e valori tecnico-scientifici da sfruttare per poter indirizzare eventuali scelte aziendali. Assaggiare tanti vini è stato interessante ma anche difficile perché poi terroirs, stili, filosofie incidevano molto nei risultati enologici e quindi nella comprensione. Inoltre mi mancavano le informazioni viticole e soprattutto il confronto con le idee di altre persone. Ecco, da lì a breve le degustazioni sono diventate di gruppo tra accademici e colleghi, ed ora anche tra amici curiosi ed appassionati. Ci troviamo abbastanza regolarmente vicino Verona, quando rientro in visita parenti. Ammetto che si è creato un gruppo che interagisce con una leggerezza e libertà, nonché professionalità, che raramente mi è capitato di trovare nei mille contesti dei classici eventi. Il passo successivo è stato condividere tracce di queste esperienze sui Socials, un modo simpatico che mi ha aperto tante altre conoscenze tra cui la tua. Credo che in questa fase sia molto importante trasmettere entusiasmo e semplicità, e spero altri facciano più e meglio di me. Permettimi di ringraziarti pubblicamente perché senza di te e del tuo sito forse avrei agito diversamente.

Dove lavori attualmente?

Dopo una buona carriera tecnica all’interno del Gruppo Italiano Vini in zona veronese, da quasi 8 anni risiedo in Ticino, dove lavoro per la Chiericati Vini a Bellinzona.

Lavorando come enologo in Svizzera, quali differenze hai trovato con le realtà italiane?

Difficile generalizzare. Il passaggio dalla mia esperienza precedente è diametrale. Mi diverto in un contesto familiare e di mercato locale. Trovo nettamente più semplice l’approccio legislativo e burocratico in un sistema basato sulla libertà d’impresa. Molto diverso è la scarsa presenza di Cooperative Sociali e la grande frammentazione del suolo vitato in larga parte gestito da viticoltori non professionisti che vendono uva ai privati. Scarsa meccanizzazione, prezzi alti e resa bassa garantiscono un percorso virtuoso verso produzioni di altissima qualità. In Ticino il Merlot è la varietà più coltivata (circa 90%) ma il clima ed il mercato richiedono una riflessione seria sulle scelte nel breve periodo. Il gusto della tradizione è ora ancora improntato sulla barrique. Con il cambio generazionale si percepisce una grande voglia di novità ed apertura in generale.

In Svizzera ci sono moltissime varietà PIWI, hai avuto modo di sperimentarne qualcuna?

Sì, questo è assolutamente vero, oltre un centinaio. La legge permette da sempre di impiantare liberamente, quindi sono registrati tantissimi vitigni, ed alcuni sono già inseriti nelle varie DOC cantonali. In realtà però non era molto estesa la produzione viticola ed enologica. Abbastanza recentemente è aumentata la sperimentazione piantando piccole parcelle ed iniziando a vinificare con buona fantasia ma i risultati sono da validare. È una fase esplorativa, non sottoposta a linee guida. In particolare il breeder Valentin Blattner e l’Istituto di Agroscope hanno introdotto tante varietà che sembrano molto interessanti. Ci sono dei vivaisti molto specializzati e con ampia gamma varietale quindi non è troppo complicato accedere al materiale. In Ticino il clima è mediterraneo ma anche montano, al sud sembra la Toscana, a nord pare Alto Adige ma non si coltiva in alta quota. Anche qui comunque i vitigni Piwi maggiormente diffusi sono i più noti e di scuola tedesca o svizzera, prevalentemente bianchi. Visti i costi nessuno rischia senza sufficienti garanzie di successo dunque in primis si guarda all’efficienza viticola in senso di resistenza alle malattie. Per i vitigni bianchi non c’è particolare preoccupazione al fatto siano nuove varietà, né nel gusto in sé, né nel nome, né nel confronto con altri omologhi convenzionali, vista la loro modesta presenza. Viceversa ad oggi è ancora scarso l’interesse ai Piwi rossi proprio perché devono scontrarsi contro il Merlot, sia nel doverlo eguagliare a pari qualità e stile nel mercato attuale, sia nel differenziarsi molto da lui in stili più freschi e moderni ed in obiettivi da esplorare. Noi, grazie ai molti contatti in ambito universitario e vivaistico, stiamo impostando più progettini.

Ti sei occupato anche del progetto Manimatte, cosa mi puoi dire del pet nat che avete realizzato?

Johanniter è l’uva che abbiamo deciso di valorizzare con questa tecnica. Qualche anno di degustazioni di vini commerciali e contemporaneamente di esperienze in cantina, ci hanno convinti a puntare su un’uva non troppo concentrata, giustamente acidula e sufficientemente aromatica. Essendo i primi qui a proporre un vino frizzante rifermentato col fondo, il rischio maggiore non è certo il vitigno, ma siamo fiduciosi e sembra funzionare. Questo vigneto sarà ampliato e avremo la certificazione Bio come ulteriore valore aggiunto. Manimatte è un giovane progetto che nasce all’interno di Chiericati Vini ed è la costituzione di una piccola azienda agricola a filiera corta e ciclo chiuso, improntata sulla massima sostenibilità e territorialità, non solo sui vini e non solo Piwi. Lasciami citare il vitigno rosso Bondola, che è una rarità autoctona, che stavamo per perdere, e che invece stiamo risollevando anche grazie alla sua prossima tutela come Presidio Slow Food. È un nostro piccolo vanto e lo svilupperemo secondo nuovi approcci.

Johanniter Pet Nat 2021, Manimatte

Manimatte è un progetto di attività agricole e culturali, cercando di ricostruire un’equa relazione tra noi e la natura di cui facciamo parte. Nsce dall’idea di due giovani: Luca Locatelli e Anna Maspoli. Manimatte non si pone confini, radicata nel centro del Canton Ticino, ma con uno sguardo a 360° sia geografico che culturale.

Appunti di degustazione di Luca Gonzato:
Il loro vino pétillant naturel (frizzante naturale), cioè fermentato in bottiglia senza sboccatura e quindi ‘col fondo’ (con residui dell’autolisi dei lieviti post fermentativi), deriva da uve PIWI di Johanniter. Il colore è paglierino/verdognolo leggermente velato. L’olfatto mi ricorda fiori gialli, agrumi e lieviti di pasticceria.
L’assaggio è fresco d’acidità con una piacevole carbonica che frizza tra le guance. La sensazione di polpa di frutta arriva nel retrogusto ricordandomi la mela cotogna e la frutta secca. È un pet nat giocoso e fresco che diventa cremoso nella progressione. Mi piace per la struttura che offre ‘sostanziosa’. La persistenza aromatica è abbastanza lunga, nel finale ritrovo sentori di lievito e zucchero caramellato che sfuma su una nota ammandorlata.
Il volume alcolico è all’incirca dell’11,5%. Se paragonato ad altri pet nat si distingue per corporatura e gamma aromatica.
Approved!

Ci sono altri vini Piwi sui quali stai lavorando?

Beh sì, parecchi. Appena arrivato ho spinto l’idea, interessandomi emotivamente a Kretos e Khorus/Kanthus di VCR. Ero però poco supportato, così abbiamo perso alcuni appezzamenti e parecchi anni di vantaggio nei tempi di produzione. Cambiando il focus, ora in Chiericati abbiamo la giusta convinzione su certe tematiche e arriveremo presto a risultato con diverse varietà. L’obiettivo più ambizioso è con i rossi, con cui vorrei essere capace di confutare il cattivo pregiudizio che erroneamente subiscono. Abbiamo Divico e Satin Noir, che verranno affiancate presto da altre varietà molto promettenti, di varia origine e diversi parentali. Importante è avere bene in testa l’obiettivo e la conoscenza del proprio territorio. Con i bianchi le opzioni sono molte ma paradossalmente non sono la nostra priorità. Abbiamo già vinificato Souvignier Gris e Johanniter in varie esperienze ma punteremo anche su altri vitigni più innovativi. Devo però ringraziare anche i tanti colleghi con cui riesco a dialogare sui risultati da loro ottenuti e condividere informazioni preziose. Una sorta di rete esperienziale, o così mi piace crederlo.

Cosa ne pensi del mondo PIWI in Italia e quale futuro vedi?

Confuso. Non è cosa negativa, ma noto che questa piccola nicchia, con pochi produttori sparpagliati ed avventurosi, è interpretata già in modi talvolta antitetici. E lo noto proprio perché agisco come anonimo consumatore, acquistando i vini e dialogando di volta in volta coi diversi produttori. Il principio base per tutti è la vera sostenibilità, oltre il biologico, ma è inevitabile che ognuno remi verso la propria idea. Spero non diventi solo un nuovo trend di marketing. Indubbiamente la Piwi International sta avendo un ruolo fondamentale per tirare le fila e rappresentare i prodotti su un nascente mercato. Sarà difficile uniformare la comunicazione ma spero si giochi tutti almeno verso una direzione di trasparenza e rispetto del cliente. Io auspico che il Piwi diventi una nuova e diffusa Normalità, con le mille sfaccettature del mondo vino classico, ma con il merito di avere dato vera risposta alla Ecologia del nostro ambiente di cui siamo tutti responsabili. Credo che la fase esplorativa ed espansiva sia ancora all’inizio, poi bisognerà concentrarsi e scremare: identificare e definire i nuovi Terroir sarà la sfida finale. Il futuro è da scrivere ma è sicuramente roseo.

Ci siamo visti di recente durante la due giorni di degustazione nella Commissione per la seconda rassegna sui vini PIWI alla FEM, come ti è sembrato il livello dei vini assaggiati?

Direi bene. I giudici erano di alto profilo, forse inesperti sulla peculiarità dei Piwi, ma proprio per questo non condizionati e schietti nei giudizi assoluti. Io ho ben capito che alcuni vini soffrono di artigianalità o inesperienza, chiaramente dunque non tutti eccellenti (si nota anche fuori dal concorso) ma non posso e non voglio dare la colpa ai vitigni. Si tratta di crederci, insistere e crescere. Perché gestire piccoli volumi, in carenza di tecnologia, senza alternative, con vigne giovani ed in ambienti talvolta meno vocati, con eccessivo entusiasmo e fiducia, è difficile e ha costi elevati. Poi in nessun concorso alla cieca si passa da aromatici a neutri o stili diversi con tanta inattesa velocità. Per un giudice è faticoso. Invece sono convinto che tanti di quei vini, bevuti a tavola o scelti a seguito di vari motivi, darebbero migliori soddisfazioni. Un cliente convinto che Piwi è un argomento forte accetterà la sfida di resettare il suo background, senza fare l’errore di paragonarlo ad equivalenti. Sono in parte gusti nuovi. I risultati arriveranno.

Guardando la classifica dei vini italiani nel concorso di Piwi International 2022 sono rimasto un pochino deluso dai risultati, mi aspettavo più medaglie d’oro all’Italia. Secondo te è un risultato segnato dai diversi gusti tra italiani, austriaci, tedeschi ecc. o altro?

Concordo. Ma i concorsi purtroppo esprimono anche soggettività. All’estero la cultura dei Piwi è più radicata, ed ha il suo buon mercato. Significa che si sono già create le basi per identificare le combinazioni giuste, in stile, tra vitigno tecnica ed ambiente. Sono vini da climi freddi o montani, dove ormai è prevalente uno stile ed un gusto verticale, intenso, acidulo. Chiaramente in quei contesti, ed alla cieca, confrontarsi con vini da terroir più mediterraneo o stile più complesso non è premiante. Chissà, magari a ruoli invertiti…

So che hai assaggiato parecchi vini PIWI non italiani, come li hai trovati? Ci sono vini che consiglieresti?

Sugli italiani nessuno più di te può meglio rispondere! Seguo le tue degustazioni e mi ritrovo molto spesso nei tuoi giudizi. Sei corretto, incondizionato e aperto ai dettagli più innovativi. Credo che sapresti ritrovarti parimenti su tanti vini esteri che in effetti sto procurandomi e su cui proseguo il mio studio. Credo che i viticoltori esteri ed italiani affrontino le stesse difficoltà e dimostrino le stesse variabili produttive, e che gli enologi in questa fase non stiano forzando esageratamente la mano, lasciando libera espressione alle uve o alle filosofie aziendali. Forse vantano di più esperienza e mercato meno diffidente. Ho trovato vini veramente eccellenti, specialmente da chi produce con costanza, tecnica e buoni volumi. Ci sono poi vini dal potere indescrivibile, talvolta strepitosi talvolta sconcertanti, frutto di filosofie estreme e che hanno grande mercato. Sto ancora cercando di capire se siano una contorta deviazione o possano rappresentare una strada di concreta caratterizzazione. Piwi, alla fine, è tanta Natura. Attualmente ho un debole nei confronti di Divico e Laurot tra i rossi, Sauvignac e Kretos tra i bianchi. Però sai, è soggettivo, se sono troppo precoci e li porti in ambienti caldi tutto diventa complicato.

Posso venirti a trovare?

Devi! Sarebbe fantastico averti in Ticino.

Grazie dell’intervista Luca, e Forza Piwi!

Luca Gonzato