Noghené 2022, Vizzon Dionisio
L’arrivo di un nuovo vino rosso PIWI mi procura sempre qualche timore ed è raro avere da subito un buon feeling come quello avuto al primo assaggio del Noghené di Dionisio Vizzon, da Portogruaro (VE).
La finezza olfattiva mi ha fatto gonfiare i polmoni per catturare più sfumature possibili di questo rosso da uve di Cabernet Cortis, Cabernet Eidos, Merlot Khorus, Merlot Kanthus e Prior. I piccoli frutti neri di mirtilli accompagnano ricordi di liquirizia nera, cuoio, sottobosco, spezie…
L’assaggio è equilibrato e vellutato. Il tannino è evoluto ed accompagna una piacevolezza generale che inaspettatamente mi ha fatto dimenticare il mondo dei PIWI per porlo simbolicamente in competizione con blasonati rossi tradizionali.
La progressione aromatica imprime tanti input che nel retrogusto si sommano a quelli olfattivi. C’è anche una succosa ciliegia matura, dei ricordi di viola e di prugne disidratate. Risulta armonico, con un’acidità non aggressiva e un bel corpo caldo (14% Vol.) e robusto che non compromette la fragranza aromatica della vinificazione in acciaio.
Questa 2022 è la prima annata imbottigliata ma non è un caso questa bellezza così evidente. Dionisio lavorava da anni per ottenere questo risultato. È venuto di persona a presentarmi il suo vino ed ho capito quanta cura e quanto sia intransigente nella ricerca della qualità.
Caso vuole che al primo assaggio partecipassero anche un paio di avventori dell’enoteca e senza nessun “imbocco” ne sono rimasti catturati, tanto che uno di loro mi ha chiesto se poteva acquistarlo.
A distanza di qualche ora l’ho riassaggiato nelle mie consuete modalità, cioè da solo, in silenzio e con molta calma. Confermo che è proprio un bel vino, meritevole di tovaglie ricamate e preparazioni gourmet.
La bellezza è nella sua complessità, le 5 varietà sono come strumenti diversi che suonano lo stesso spartito, una sinfonia che dura a lungo nel palato lasciando il ricordo d’aver assaggiato qualcosa di speciale.
Il nome Noghené arriva dal dialetto Veneto “non ce n’é”, a significare che non c’è utilizzo di prodotti chimici fungicidi né diserbanti, né concimi, né irrigazione e né altre forzature. C’è invece tanto di naturale da apprezzare.
Noghené è uscito in questa prima annata in due versioni di affinamento: acciaio e legno. La seconda ha avuto una maturazione in barrique di secondo passaggio per sette mesi.
Alla vista ha una tonalità di rosso leggermente diversa, vira verso l’aranciato-mattonato.
L’olfatto è più “largo” e intrecciato, se già si parlava di eleganza qui si è indossato l’abito firmato per la serata di gala. Gli aromi hanno la stessa origine ma risultano più integrati tra loro offrendosi in una texture di piccoli frutti neri e note terziarie speziate.
L’assaggio regala calore e avvolgenza pur mantenendo una bella acidità e freschezza aromatica. Il tannino setoso rende piacevole il sorso senza per forza chiamare il cibo. La tannicità composta di questi vini è una caratteristica che apprezzo molto insieme alla maturità aromatica. Certo che mettersi a tavola con questo vino sarebbe ancora meglio, il terzo occhio mi ha visualizzato un filetto al pepe nero.
Noghené “barrique” (quello con la capsula nera) si colloca tra i grandi rossi PIWI in commercio e conquista un mio personale apprezzamento.
Solo oggi e forse domani (se ne rimane qualcosa) è in degustazione gratuita (poi in vendita) nel mio piccolo Piwi Store milanese.